Narra la leggenda che la ninfa Mirra, giovane figlia del re Ciniria, sprezzasse a tal punto la dea dell’amore Afrodite da rifiutare senza riserve il suo stesso matrimonio. La vendetta di Afrodite non tardò ad arrivare e ben presto una incontrollabile passione incestuosa si impadronì di Mirra che riuscì nottetempo a introdursi nella camera del padre e a giacere con lui più volte concependo un figlio.
Quando il re scoprì l’inganno cercò di uccidere la propria figlia, ma Mirra, fuggendo, implorò gli dei che la trasformassero in un albero. Dopo nove mesi la corteccia dell’albero si spaccò e ne uscì un bambino bellissimo a cui fu dato il nome di Adone.
Quanto all’aspetto medicamentoso, la mirra ha da secoli un vasto campo di applicazione; citata in tutte le opere di materia medica, costituì uno dei rimedi di elezione nella cura delle affezioni della pelle e dell’apparato respiratorio. Era inoltre usatissima nell’igiene della bocca o contro ogni tipo di infiammazioni della cute e delle mucose.
L’incenso, dal latino incensum, che significa “ciò che è bruciato”, condivide con la mirra una storia religiosa comune. Il termine designa una pianta arbustiva resinosa aromatica orientale, che i Greci chiamavano libanos, sinomimo appunto di incenso, che significa “offerta o profumo”. L’incenso è anche noto per la sua proprietà medicamentosa e per il suo significato medico-religioso. La gomma o la corteccia di questo albero viene infatti bruciato durante le cerimonie di circoncisione allo scopo di ottenere fumi odorosi propiziatori, mentre la corteccia bollita in acqua o latte viene somministrata contro i disordini dello stomaco e per curare la bronchite o la polmonite.
Queste droghe erano tenute in grande considerazione presso gli antiche popoli. Già gli Egizi ne erano dei forti consumatori, sia per le imbalsamazioni che per le fumigazioni che venivano offerti nei templi al dio sole. Gli Egizi, i Sumeri, gli Assiro-Babilonesi, i Siriani, poi i Greci e i Romani importavano incenso e mirra dall’Arabia. La richiesta era tale che dall’Egitto si organizzavano vere e proprie spedizioni militari nelle terre produttrice per impadronirsi delle preziose resine.
Tra i doni portati dai Re Magi, quando si recarono a rendere omaggio a Gesù bambino, la mirra e l’incenso sono i più famosi. Nel vangelo di Matteo, come negli apocrifi e nelle leggende orientali sui Magi, si narre che i re portarono al Cristo tre doni: oro, incenso e mirra. Che cosa simboleggiano?
Gli autori cristiani, da Oriente a Occidente, concordano nel vedere nell’oro il simbolo dell’essenza divina del Cristo come re dell’universo e nell’incenso quello di Dio o anche, più sottilmente, del Cristo-Sacerdote che con il suo sacrificio si pone come tramite fra il Padre e gli uomini.
Sulla mirra invece gli autori occidentali divergono dagli orientali. Ispirandosi a un passo del vangelo di Giovanni, dove si narra che Gesù fu sepolto con mirra e aloe, i primi sostengono che la mirra prefigura la passione e la morte di Cristo. “La polvere della mirra preannuncia il sepolcro” scriveva Prudenzio. E Leone Magno: “Offrono l’incenso a Dio, la mirra all’uomo, l’oro al re, venerando consapevolmente l’unione della natura divina e umana perché Cristo, pur essendo nelle proprietà delle due nature, non era diverso nella potenza”.
Nel racconto sui Magi, Marco Polo dice a questo proposito: “Raccontano quelli del luogo che tanto tempo fa, tre re della loro religione andarono a visitare un profeta nato da poco e portarono con loro tre offerte: oro, incenso e mirra, per poter riconoscere se quel profeta era Dio o re o sapiente. Pensavano: se prende oro è un re, se prende incenso è un dio, se prende mirra è un sapiente…
Lo adorarono e gli offrirono oro, incenso e mirra, e il bambino prese tutte e tre le offerte.
Queste preziose piante sostituirono, grazie a Dio, gli animali che gli antichi popoli utilizzavano per i sacrifici.
Autrice: Manuela Mariani