La postura
E’ possibile definire la postura come “la posizione che un corpo vivente occupa nello spazio, globalmente e segmentariamente”. Quando si fa riferimento alla postura eretta, si intende quella che l’uomo può assumere e mantenere in modo automatico e naturale. Nonostante questo possa sembrare un concetto piuttosto scontato, in realtà non lo è, poiché noi siamo in continua lotta contro la forza di gravità, e in una perenne condizione di adattamento, instabile e precario, all’ambiente esterno. La postura dipende da un insieme di fattori endogeni (costituzionali, auxologici, endocrini, psicologici e congeniti) ed esogeni (alimentazione, livello socio–economico, sedentarietà), che si combinano tra di loro in vario modo, dando vita ad un risultato originale, personale e unico; infatti, non è possibile esprimere in natura due posture identiche.
In realtà, non esistono principi o criteri anatomo–funzionali così precisi o ineccepibili da permettere di esprimere un giudizio rigido e inappellabile sulla postura. Infatti, è molto difficile stabilire quale sia una “corretta postura” e quale non lo sia. Tuttavia, è possibile affermare che fattori causali di varia natura (anatomo–meccanici, neuro–motori, psico–affettivi), in continua interazione tra loro, possono determinare delle alterazioni di quello che viene considerato il normale allineamento dei diversi segmenti corporei e, di conseguenza, la rottura di un equilibrio.
I meccanismi di adattamento e compensazione
Si possono definire fenomeni adattativi quell’insieme di strategie che ognuno di noi attua inconsapevolmente in risposta all’ambiente. Queste sono funzionali e, una volta scomparsi o superati i fattori stressanti, si autolimitano, permettendo il ripristino delle condizioni omeostatiche precedenti. Purtroppo, la maggior parte di tali strategie non risulta in grado di migliorare la qualità della vita, ma rappresenta un insieme di modifiche che dobbiamo attuare o subire per poter sopravvivere, a cui diamo il nome di fenomeni adattativi disfunzionali. Nel momento in cui si stabilisce uno stato fisiologico disfunzionale, alterato rispetto a quello iniziale, l’organismo lo accetta inconsapevolmente e fa di tutto per mantenerlo. Ciò è vero in risposta a fattori stressanti di ordine sia fisico che psico–emotivo e, quindi, anche a livello posturale. Si pensi, ad esempio, alle spalle curve del depresso; oppure alla difficoltà di reimparare a camminare per una persona che sia stata ingessata ad un arto inferiore anche per poche settimane: almeno per qualche giorno, tenderà a camminare come se portasse ancora il gesso. Quando un muscolo aumenta o perde il suo tono, e/o si accorcia, tali cambiamenti porteranno a delle alterazioni funzionali della biomeccanica delle articolazioni in cui tale muscolo si inserisce, scatenando una serie di adattamenti compensatori che, in modo più o meno evidente, coinvolgeranno l’intero organismo. Questo meccanismo disfunzionale si attiva perché, in quel particolare momento della vita del soggetto, presenta qualche vantaggio compensatorio, anche se temporaneo. Purtroppo, però, queste strategie vengono apprese e, nella maggior parte dei casi, tendono a rimanere operanti anche quando il vantaggio sarà del tutto venuto a cessare.
La posturologia e le valutazioni posturali
La posturologia è, principalmente, una scienza di osservazione. Si serve di diverse chiavi di lettura e modelli esplicativi, utilizzando il contributo di numerose altre discipline. Se è vero che alla base della nostra postura vi sono diversi fattori in continua interazione tra loro, è anche vero che il percorso da seguire mira ad evidenziare tanto i “problemi” endogeni ed esogeni del soggetto, quanto l’espressione fisica di tali problemi, così come si manifestano nella sua struttura corporea e nei suoi movimenti. In questo caso, l’operatore deve sempre ricordare che non sempre esiste un nesso, o un rapporto veramente significativo, tra il dolore che il soggetto prova (ad esempio a livello cervicale) e la gravità delle alterazioni osteoarticolari evidenziabili radiologicamente. L’artrosi cervicale, per fare un esempio, è molto meno importante per intensità, frequenza e rilevanza di quanto faccia presumere l’elevatissimo numero di diagnosi che ad essa fanno riferimento. Ciò significa che, indipendentemente dalla reale importanza dell’eventuale danno organico, sono molti i fattori che intervengono nelle sindromi dolorose, muscolo–tensive e non, motivo per cui le valutazioni posturali devono necessariamente tenere conto dell’organismo nella sua globalità, e non solo dei dati derivanti da test e rilevazioni di vario tipo. Ciò per evitare di “peccare di presunzione”, pensando che ad ogni causa corrisponda necessariamente e inevitabilmente un solo effetto e che, una volta compresa l’origine di un disturbo, sia assai semplice attenuarlo o farlo scomparire, applicando metodi rigidi e dati una volta per tutte.
Un corretto approccio alle problematiche posturali si fonda innanzitutto sull’umiltà da parte dell’operatore, sul rispetto nei confronti del cliente, dei suoi problemi e della fiducia che ripone in noi, sulla volontà di ascoltare, di mettere in discussione, le proprie concezioni e, infine, sulla sua capacità di applicare test e rilevazioni posturali senza rimanere, però, ingabbiato nei limiti di tali strumenti di verifica.
Obiettivi del lavoro posturale
Tra gli obiettivi della valutazione posturale, e di eventuali interventi di recupero, citiamo l’acquisizione o riacquisizione di una “corretta postura”, la riduzione di rigidità muscolo–legamentose, il miglioramento della coordinazione neuro–motoria, il riequilibrio del tono e del trofismo muscolare, l’affinamento dell’equilibrio, la rieducazione respiratoria e cardio–circolatoria, il miglioramento della comunicazione con se stessi e con gli altri.