Nelle feste natalizie, come in altre del calendario cristiano, confluiscono simboli e tradizioni ereditati da culti pagani. Ne sono un esempio i canti natalizi rumeni detti colinde, da kalendae januoarii (Saturnali).
La sera del 24 dicembre i colindatori visitavano tutte le abitazioni del villaggio schiamazzando per le vie e suonando tamburi affinché il gran baccano potesse allontanare gli spiriti maligni.
Inoltre, durante i canti, i colidatori, offrivano in cambio di qualche moneta, dei ramoscelli di abete, albero considerato in tutta Europa simbolo dell’Albero Cosmico per la sua maestosità. Nell’Antico Testamento si chiama Albero della Vita, piantato al centro del Giardino dell’Eden e del quale Adamo ed Eva potevano usufruire dei suoi portentosi benefici.
Nella Roma pagana, già due o tre secoli prima di Cristo, dal 19 al 25 dicembre si festeggiavano i Saturnali in onore del dio Saturno, dio dell’agricoltura. Era questo un periodo durante il quale si viveva in pace, si scambiavano doni, si facevano sontuosi banchetti. Erano feste di gioia, di rinnovamento e di speranza per il futuro.
La tradizione di piantare ed ornare un albero nel periodo di Natale risale ai popoli germanici. Lo stesso periodo che comprende il “solstizio d’inverno” (21 dicembre) veniva festeggiato anche presso i Celti, i cui sacerdoti (Druidi), avendo notato che gli abeti rimanevano sempre verdi anche durante l’inverno, iniziarono a considerarli come un simbolo di lunga vita e cominciarono ad onorarli nelle feste invernali.
I Teutoni erano soliti, durante tale periodo solstiziale, piantare un grosso abete ornato di ghirlande e bruciare un enorme nel camino, per festeggiare il passaggio dall’autunno all’inverno. Il ceppo aveva un significato simbolico: si bruciava il passato e, dal modo di ardere del legno, si cercava di cogliere i presagi sul futuro inoltre, proteggeva dai fulmini del cielo.
La stessa notte del 21 dicembre veniva chiamata “la notte dell’abete argentato”. Questa è la ragione per cui spesso essi facevano anche bruciare un enorme ceppo di abete o addirittura un abete intero.
Da qui nasce la tradizione di addobbare l’abete con candeline accese, palle luminose e dolcetti attaccati ai suoi rami.
È attraverso l’abete che si espletava infatti il “culto della luce” da cui deriva la parola “cultura”, cioè culto di “Ur”, che significa appunto “luce”.
Tornando a parlare del ceppo, in alcune regioni italiane come l’Abruzzo e la Toscana, la sera della vigilia di Natale ogni famiglia si riuniva mettendo nel camino un ciocco d’abete dicendo: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane. Ogni grazia di Dio entri in questa casa. Le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondi il grano e la farina e si riempia la conca di vino”. Poi i bambini, con gli occhi bendati, dovevano battere sul ceppo con un bastone recitando una canzoncina detta “Ave Maria del Ceppo” che aveva la virtù di far piovere su di loro dolci e regalini.
Sul ceppo acceso, si aggiungeva altra legna che doveva bruciare lentamente per la durata di dodici giorni. Questa antichissima usanza, doveva simboleggiare il Cristo che si era sacrificato per salvare l’umanità e sostenere l’uomo nel suo viaggio terreno.
I dodici giorni in cui il ceppo bruciava, stavano a significare i dodici mesi dell’anno ed erano in analogia al sole che, nascendo al solstizio d’inverno, avrebbe nutrito la terra per un anno intero. Per questo motivo si diceva.”domani è il giorno del pane” e si festeggiava mangiando dolci a base di farina.
L’abete è considerato dalle antiche tradizioni, una pianta magica. Talismani confezionati con la sua resina, aghi e pezzi di corteccia, assumono un potere straordinario per attirare la fortuna. È simbolo di eternità e dell’amore duraturo. Le sue pigne hanno un influsso benefico ed in molte regioni vengono regalate come protezione dai pericoli di un lungo viaggio. La pigna inoltre, era l’emblema della dea Cibale, dea della fertilità, madre di tutti gli dei che ha dato origine all’intero universo senza bisogno di intervento maschile. In antichità si faceva grande uso della resina di abete rosso con cui si preparava, mescolandola alla cera, un linimento revulsivo (Pece di Borgogna) utile nelle affezioni reumatiche e polmonari così efficace che la sua fama giunse nell’Inghilterra di Carlo I. Sempre dall’abete rosso si estraeva anche una resina detta lagrimo d’avezzo molto nota ai medici del rinascimento, che secondo loro, doveva assicurare l’umanità contro infiniti mali.
L’oleoresina, che scola per incisione della corteccia di odore balsamico, prende il nome di pece bianca o pece di Borgogna.
Viene impiegata quasi esclusivamente per uso esterno nella preparazione di unguenti irritanti o revulsivi leggeri o nella preparazione di cerotti adesivi antireumatici.
autrice: Manuela Mariani